Bergamo: Tangenti e politica: quanti silenzi

dal Corriere.it

Il dibattito che non c’è.

La questione morale a Bergamo non è mai in agenda. Riemerge come un fiume carsico l’inchiesta sulle tangenti per la discarica di Cappella Cantone, con tutte le implicazioni sul sistema di potere di Formigoni che ha riguardato da vicino una parte significativa della classe dirigente cittadina. Si riaccendono i riflettori sulle accuse all’ex assessore Moro e il ritorno di fiamma non è banale, se sotto inchiesta è finito perfino l’avvocato del Comune. Eppure non ci pare di assistere, come sarebbe lecito attendersi, al benché minimo cenno di dibattito politico e pubblico. Qui non si tratta, e con ciò preveniamo da subito le obiezioni del partito dei garantisti (a cui peraltro ci iscriviamo volentieri d’ufficio), di anticipare le sentenze. Ma di discutere apertamente se un certo modo di fare affari e di fare politica era (è) sano o malato e se possiede gli anticorpi per rigenerarsi. E dire che gli spunti non mancano.

La lunga e interessante intervista rilasciata dall’imprenditore Pierluca Locatelli a L’Eco di Bergamo , per esempio, ne offre parecchi. Locatelli è l’uomo chiave di entrambe le inchieste citate. E oggi ci spiega, in estrema sintesi, che sì, lui le tangenti le pagava, ma era l’unico modo per sveltire le pratiche amministrative, pena il tracollo dell’azienda in crisi. Giusto e legittimo che racconti la sua verità, esibendo peraltro con dignità le ferite di chi due mesi di duro carcere a San Vittore li ha scontati. Ma davvero vogliamo liquidare la questione con l’imperituro e laconico «così fan tutti»? Oppure dare tutta la colpa alla micidiale tagliola del patto di Stabilità, che tanto ormai ha le spalle larghe? C’è qualcuno tra gli esponenti politici bergamaschi di varia natura che ha voglia di dirci, o almeno di capire, se davvero le cose in Regione (e non solo) funzionavano o addirittura funzionano ancora così? C’è qualcuno tra gli imprenditori di casa nostra che ha voglia di spiegarci se esiste un’alternativa all’antico e intramontabile meccanismo della «macchina da oliare»? Quante domande e quanti silenzi imbarazzati.

C’è un altro rivolo dell’inchiesta, anticipato su queste colonne e confermato da Locatelli, che al di là del profilo penale a noi è parso interessante. All’imprenditore è stato chiesto en passant dal presidente della Cdo Breno di acquistare anche un certo numero di tessere a sostegno e all’insaputa di Angelo Capelli (non indagato), che sarebbe poi diventato il candidato alla segreteria del Pdl. Restando rigorosamente nel terreno del costume e dell’opportunità, è questo un metodo trasparente per creare consenso politico? Interrogativo parso ozioso ai più, opposizioni incluse. Certo non aiuta a stimolare il dibattito – ce lo consenta l’interessato che oltre al prestigio da principe del foro non difetta di sagacia politica – il fatto che l’avvocato del «grande accusatore» Locatelli sia Roberto Bruni, consigliere regionale ed ex sindaco, insomma l’esponente più in vista della controparte politica di alcuni indagati. Ovvio che su certe questioni sia costretto ad astenersi. Più in generale, è singolare che, nella meticolosa lista dei presunti nervi scoperti della giunta di centrodestra stilata nei giorni scorsi dall’opposizione, il caso Moro non abbia trovato neppure una piccola postilla. O forse non c’è troppo da stupirsi. La questione morale, a Bergamo, non è mai in agenda.

11 dicembre 2013